Cover photograph: Jacques Ferrari ai WEG 2014.
A luglio ho partecipato a un allenamento intensivo di volteggio in Michigan, organizzato da Great Lakes Equestrian Vaulting, e ho avuto il privilegio di lavorare con Jacques Ferrari della Compagnie Noroc, campione del mondo maschile 2014. Fin da quando ho iniziato il volteggio, Jacques è stato un modello per me, non solo per la sua capacità interpretativa e il suo successo sulla scena internazionale, ma anche per le sue attività poliedriche. Dall’allenamento di atleti di alto livello alle esibizioni equestri e alla creazione di musica, i suoi numerosi talenti e la sua notevole creatività lo rendono un vero e proprio Leonardo da Vinci del volteggio. Vorrei ringraziare ancora una volta Jacques per avermi concesso questa intervista, che abbiamo originariamente condotto in francese. Quella che segue è la mia traduzione in italiano.
Ilaria: Come e quando ha scoperto il volteggio?
Jacques Ferrari: È abbastanza semplice: ero molto piccolo. A mia madre sono sempre piaciuti i cavalli, mia sorella faceva salto ostacoli e quindi volevano che anch’io facessi equitazione. Sono andato a provare da una piccola squadra vicino a casa mia. Cavalcavo i pony ma non è durato molto perché c’era mezzo maneggio che faceva lezioni di volteggio al passo. Non smettevo di guardare e ho voluto provare. Dopo due anni ho esplorato altri sport ma sono tornato al volteggio perché c’erano molte cose che mi piacevano in questo sport. Mi ha anche permesso, all’epoca, di entrare in un programma di sport-studio. E da allora non ho più smesso.
Ilaria: Lei spicca nel panorama internazionale per la sua capacità di integrare danza, ginnastica e musica nella disciplina del volteggio, rendendo la performance non solo tecnicamente complessa e impeccabile ma anche artisticamente ricca, un vero spettacolo dal punto di vista artistico e interpretativo. Se dovesse scegliere tra queste competenze e componenti diverse, quale conta di più? Che consigli può offrire a giovani volteggiatori per coniugarle al meglio nei loro allenamenti?
Jacques Ferrari: A mio parere, per un volteggiatore, è la motivazione che conta. Continuare ad avanzare, come in qualunque disciplina sportiva, richiede tanto lavoro e rivalutazioni. Perché il volteggio è multifattoriale: c’è il cavallo, l’aspetto finanziario, quello geografico, l’allenatore, l’atteggiamento psicologico e mentale, ecc… Tutti questi elementi formano un sistema che rende più complessa la possibilità di puntare o meno ad alti livelli.
In base alla mia esperienza, consiglio ai volteggiatori di interessarsi a tutto. Di sviluppare la loro coordinazione d’insieme fin dalla più giovane età. È importante sapere che quello che si impara tra gli otto e i sedici anni “forgia” la velocità con cui si progredisce. Si tratta di una fase importante per ottenere una buona coordinazione, buoni riferimenti spaziali e una base tecnica per sfruttare appieno il proprio potenziale. Naturalmente, è possibile iniziare il volteggio anche più tardi e, con molta motivazione, analisi e perseveranza, ottenere lo stesso risultato.
In parallelo, incoraggerei i volteggiatori ad uscire dalla loro zona di comfort, imparando a volteggiare su cavalli diversi per sviluppare la loro sensibilità, il loro “feeling” e la loro nozione di ritmo. La cosa più importante è proprio l’armonia con il cavallo e riuscire a sviluppare un “flow”. Quando avete un cavallo del cuore, che amate, ma fate pratica anche su altri cavalli, potete stabilire un contatto e un tocco che diventano ancora più rilevanti sul vostro cavallo per trovare poi il vostro stile di volteggio. Questo avviene anche quando si presta grande attenzione all’appoggio dei piedi, alle linee del corpo e all’ampiezza dei movimenti. Bisogna essere in grado di assorbire il movimento del cavallo, che sia piacevole o disagevole, per dare un’impressione di leggerezza.
A volte divertirsi semplicemente con la musica a cavallo, senza necessariamente mettere tanti elementi difficili nella routine, permette di imparare a muoversi senza essere frenati dalla tecnica. Non bisogna dirsi “quando la tecnica sarà buona, inizierò a danzare,” perché secondo me la musicalità e l’interpretazione non hanno bisogno di difficoltà per essere eccezionali. E quando finalmente si padroneggia la difficoltà, bisogna essere a proprio agio con la musicalità e l’interpretazione perché il risultato sia emotivamente accattivante.
Di solito cerco di spingere i volteggiatori in questa direzione, anche se all’inizio non sempre piace. Infatti, richiede di accettare nuove sfide e di concentrarsi sui propri punti deboli. Ad esempio, aver lavorato in questo modo con tutti i membri che sono passati per la compagnia Noroc–come Lambert Leclezio, Manon Moutinho, Quentin Jabet, Théo Gardies e altri–non è sempre stato facile ma ha portato molto a ciascuno di loro. Ha permesso loro di proporre un volteggio in divenire, molto più artistico e aereo.
Se la complessità dell’allenamento non è superiore a quella della gara, allora la gara diventa l’esercizio più difficile. Altri diranno che bisogna allenarsi nelle condizioni più simili a quelle in cui si gareggerà. È vero, ma secondo me bisogna prima attraversare periodi di sviluppo molto più complessi nella propria preparazione.
Ilaria: Nota delle differenze tra Europa e Stati Uniti nel modo di preparare i volteggiatori e/o nella pratica della disciplina nel suo insieme?
Jacques Ferrari: Sì, c’è una differenza tra Europa e Stati Uniti. Non necessariamente in termini di livello, perché eccellenti volteggiatori dagli Stati Uniti sono stati persino modelli o fonti di ispirazione per me. Tuttavia, ci sono stili, figure e idee molto diverse tra Europa e Stati Uniti. Penso che, per sviluppare un metodo che funzioni, bisogna interessarsi a tutto e prendere quello che si ritiene più rilevante da altri metodi. Funziona per quasi tutti, perché ognuno può distillare con lo sguardo quello che manca nel proprio modo di lavorare.
Ad esempio, i francesi, prima del 2012, non era molto bravi negli obbligatori. Così abbiamo iniziato ad andare all’estero per allenarci. Ho avuto modo di lavorare personalmente con Jessica Lichtenberg, che era l’allenatrice della squadra tedesca di Neuss, e anche con Rob de Bruin, quando non era ancora un giudice a quattro stelle. Mi hanno fatto capire molto sulla visione dell’allenamento, sui metodi e sul protocollo.
In Francia abbiamo osservato molto le tecniche dei tedeschi, degli austriaci, degli svizzeri, ad esempio, e ci siamo detti: “È fantastico, ma possiamo svilupparle ulteriormente”. Quindi, prendendo metodi già esistenti e migliorando le tecniche, siamo andati a cercare il punto o mezzo punto mancante. In dieci anni, con il lavoro degli atleti e degli allenatori, siamo riusciti a collocarci in prima linea sulla scena internazionale negli obbligatori.
Se riusciamo a ottenere grandi risultati rispetto ai pochi volteggiatori francesi di alto livello, è perché ci concentriamo su un individuo e sfruttiamo interamente il suo potenziale. Ma in generale, in molti altri paesi ci sono gare di selezione: le federazioni impongono obiettivi precisi in gare di riferimento e “chi sarà il migliore sarà selezionato”.
Penso che questa legge del più forte a volte sia troppo unilaterale. Ho visto molte nazioni perdere grandi promesse del volteggio o medaglie d’oro a causa di queste regole. Credo che quando si è selezionatore non ci si possa concentrare solo sulle gare di qualifica. A volte queste eliminazioni non si adattano all’evoluzione di un volteggiatore e del suo trio (atleta, cavallo, e longeur) con grande potenziale. La durezza di certi criteri di selezione può a volte far perdere un “Picasso” che può maturare diversamente o più tardi nella stagione. Ecco come la vedo io.
Ilaria: Lei è passato dal mondo del volteggio competitivo a quello dello spettacolo equestre. Quali sono le differenze più evidenti tra queste due versioni del volteggio, e ci sono difficoltà che ha incontrato lavorando con un pubblico che forse non ha tanta familiarità con lo sport?
Jacques Ferrari: Sono nel mondo dello spettacolo equestre da quasi dieci anni. Recentemente abbiamo anche partecipato a programmi televisivi come “La France a un Incroyable Talent” e “Got Talent España”. In generale, contrariamente alle competizioni, nel mondo dello spettacolo, l’unico giudice è il pubblico. Se si riesce a commuovere, sorprendere e trasmettere qualcosa al pubblico, questo te lo comunica direttamente. D’altra parte, anche quando l’esibizione non è all’altezza, si percepisce molto rapidamente. L’atmosfera che si può creare durante uno spettacolo permette di immergersi totalmente quando si vuole condividere una storia. Rispetto alla competizione, nello spettacolo possiamo realizzare le nostre intenzioni e desideri artistici, che a volte non hanno spazio nel contesto di un programma sportivo.
Lo spettacolo permette anche di avere più tempo, meno costrizioni regolamentari, di prendere più rischi tecnici o artistici senza avere paura di essere valutati negativamente come in gara. Si possono sfruttare idee che non si sarebbero utilizzate in competizione e si impara a trasformare il piano A in piano B perché “the show must go on”. Non sempre le cose vanno come si vorrebbe, quindi bisogna sapere rimettersi in piedi e reagire abbastanza rapidamente per evitare un disastro.
L’insidia della gara è che la tecnica può rapidamente prendere il sopravvento sull’aspetto artistico. Durante uno spettacolo, la tecnica diventa secondaria, l’arte occupa tutto lo spazio e noi viviamo pienamente il nostro momento. Grazie a questo, sono riuscito a diventare sempre più preciso artisticamente. Ho spesso portato dei simboli agli spettacoli. E così mi sono reso conto che talvolta il pubblico non li percepisce come vorrei. Quindi ho dovuto creare un ponte tra il simbolismo e il grande pubblico. Mi ha permesso di progredire, di spingermi verso limiti che non avrei mai raggiunto. Diventano vincoli, certo, ma sono i vincoli che ci fanno evolvere.
Ilaria: Lei crea anche musica per i volteggiatori. Cosa l’ha ispirata e c’è uno stile particolare che preferisce? Secondo lei, in cosa consiste una buona musica da volteggio che cerca di rappresentare nel suo lavoro?
Jacques Ferrari: Sì, faccio musica per i volteggiatori ma anche per il dressage. Creo anche musica per l’immagine. Mi piacerebbe espandermi nel pattinaggio artistico e in altri sport. Prima di intraprendere una carriera di volteggio ad alto livello, stavo per frequentare una famosa scuola di musica a Parigi. È vero che mi è rimasta un po’ di frustrazione per non aver scelto questa strada. Ma eccomi qui, dieci anni dopo, a immergermi di nuovo in questa storia, dicendomi che alla fine ho fatto la scelta giusta. Perché si può fare sport per un po’ di tempo, ma, finché si hanno orecchie, mani e occhi, si può creare musica per tutta la vita.
Dal 2015 collaboro con Henry Benoit, un incontro del tutto inaspettato. Sua madre lavorava proprio accanto al luogo in cui ci allenavamo e spesso veniva a dirci che la musica era troppo alta. In seguito, mi ha presentato suo figlio, compositore in una scuola di musica di Los Angeles. Avevo molti progetti da realizzare per la musica nell’ambito del volteggio equestre e Henry era interessato a entrare in questo mondo. È lì che è nata una bella amicizia e collaborazione. Ci siamo aiutati a vicenda, ma mi ha insegnato molto sulle tecniche musicali. Al giorno d’oggi, la maggior parte della musica è fatta al computer; si può comporre musica bellissima con strumenti preregistrati. È stata una scelta ovvia per me portare questo nel mondo del volteggio.
Penso che il mio stile musicale sia tutto ciò che è orchestrale, lirico e sinfonico. Amo gli ensemble vocali, che siano uomini, donne, bambini, ma anche tutto ciò che ha un suono etnico. Tuttavia, non mi limito a questo e sto lavorando ad altri progetti. Inoltre, a settembre 2022 è uscito il mio nuovo album, MEDLEY, con diversi stili musicali. Quest’anno mi sono spinto a lavorare in più universi (electro, latino, hip hop, ecc.). All’inizio non era affatto il mio stile, ma bisogna rimanere aperti di vedute. Questi diversi orientamenti musicali portano elementi molto interessanti. Mi sono nutrito di diversità. Nella musica non si finisce mai di imparare. È ciò che rende questo ambito incredibile.
Secondo me, una buona musica da volteggio è una musica che ha un’anima, che racconta una storia. Non importa quale sia lo stile o lo strumento utilizzato, che sia allegro o più cupo. La musica deve raccontare qualcosa in sé, avere corpo, ed essere in grado di trasportare emotivamente, anche quando si tratta di uno stile contemporaneo.
È quello che dico oggi nel 2022. Forse tra dieci anni non avrò più la stessa opinione, a seconda dell’evoluzione della disciplina.
Ilaria: Un’ultima curiosità per me e per il pubblico di The Vaulting Review: c’è un personaggio (letterario, cinematografico o artistico) o un tema che le piacerebbe interpretare in volteggio e perché?
Jacques Ferrari: Devo ammettere che, in dodici anni di esperienza come volteggiatore e allenatore ad alto livello, ho avuto modo di sfruttare un gran numero di concetti, temi e idee che avevo dentro di me. Naturalmente tutti provengono da film, spettacoli, dipinti o romanzi già proposti da grandi artisti.
Ho avuto anche l’opportunità di vedere temi e idee che sono stati sfruttati più o meno bene nel volteggio, quindi il desiderio di riesplorare certe cose e di sublimarle è sempre presente. Oggi lavoro sempre più con processi creativi ispirati a idee preesistenti. Le adatto alle esperienze, alla personalità e ai desideri degli atleti per rendere i concetti innovativi e unici.
Tuttavia, ci sono ancora alcune idee che mi parlano e che non sono ancora riuscito a sfruttare appieno. Innanzitutto, giocare con il ritmo e la percussione corporea per formare musica durante una routine. Inoltre, l’idea di giocare con le parole e i pensieri che guidano le nostre azioni, o di muoversi verso la danza a cavallo attraverso la musica latina o etnica utilizzando simboli culturali. Quando parlo di “danza,” scelgo questo termine perché penso che si possa andare ancora più in là di quello che è stato proposto finora.
E davvero, grazie all’aiuto di Jacques, siamo stati in grado di vedere le nostre routine e improvvisazioni come opportunità per danzare veramente a cavallo, facendo emergere l’essenza artistica del volteggio. Merci, Jacques!